L’equity crowdfunding in 5 punti
Con il nuovo regolamento Consob, al via il 3 gennaio, anche le PMI tradizionali possono raccogliere fondi online sulle piattaforme di equity crowdfunding autorizzate in Italia. Fino ad oggi lo strumento era stato limitato a startup, Pmi innovative e veicoli di investimento specializzati in innovazione, per una raccolta complessiva che supera a fatica i 18 milioni di euro. Ora la platea si allarga, in potenza, ai più di 4 milioni di imprese di dimensione media, piccola e micro registrate nella Penisola.
1) Ma cosa vuol dire equity crowdfunding?
L’equity crowdfunding è un’evoluzione del crowdfunding tradizionale (raccolta di fondi online), che permette a una società di incassare finanziamenti online. Gli investitori che contribuiscono alla raccolta ottengono un titolo di partecipazione all’azienda, accedendo a tutti i diritti patrimoniali e amministrativi che ne conseguono. La quota media assegnata in Italia si aggira sul 15%.
2) E come funziona?
Il meccanismo dell’equity crowdfunding è simile a quello del crowdfunding “normale”. Un’azienda si presenta online sulle piattaforme apposite, spiega i suoi obiettivi e fissa il target di raccolta che dovrà essere raggiunto entro la fine della campagna. Secondo dati dell’Osservatorio Crowdinvesting del Politecnico di Milano, l’obiettivo medio di raccolta è di 226.843 euro. In caso di buon esito l’impresa incassa gli investimenti e procede con il suo business plan, anche se non ci sono – ovviamente – garanzie sul suo successo aziendale. In caso di mancato raggiungimento del target, gli investimenti non vengono finalizzati e il donatore non perde nulla. Ad oggi sono state attivate 155 offerte, con un tasso di successo del 59,8 per cento.
3) Quante sono le piattaforme? E cosa cambia con il nuovo regolamento Consob?
Le piattaforme autorizzate, sempre secondo il Politecnico di Milano, sono 22. Una cifra ancora marginale rispetto alle più di 100 attive per il crowdfunding tradizionale. Con il nuovo regolamento Consob cambia la platea di imprese coinvolte e si irrigidiscono le norme per i gestori. Per quanto riguarda le nuove imprese ammesse, la raccolta online sarà disponibile anche per le Pmi che rispondono ai criteri della definizione data dall’Unione europea (microimprese con meno di 10 dipendenti e fatturato sotto ai 2 milioni di euro; piccole imprese con meno di 50 dipendenti e un fatturato sotto ai 10 milioni di euro; medie imprese con meno di 250 dipendenti e un fatturato non superiore a 50 milioni (oppure un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro). Per quanto riguarda i nuovi paletti ai gestori, scatta l’obbligo di aderire a un sistema di indennizzo o stipulare una polizza assicurativa per danni derivanti dalla propria attività che copra almeno 20mila euro. Sono previsti altri vincoli sui requisiti di onorabilità, professionalità e conflitto di interesse.
4) Quali sono i vantaggi?
Dal punto di vista delle imprese, il vantaggio è di aprirsi un sistema di finanziamento innovativo e “democratico”, nel senso che l’esito della raccolta dipende solo dalla valutazione sulla qualità del proprio business plan (e non da fattori collaterali come il network di conoscenze o zona di provenienza, almeno in teoria). Una via di uscita interessante per le Pmi che non riescono a ottenere credito dal sistema bancario, ma anche un’alternativa al mercato – carente – dei venture capitalists attivi in Italia.
5) E gli svantaggi?
Più che di svantaggi, si può parlare di rischi. Soprattutto dal lato degli investitori. Il primo è la possibilità di perdere soldi quando l’azienda finanziata non riesce a ottenere i risultati sperati. Ad oggi, secondo i dati del Politecnico milanese, sono 133 le startup che hanno avviato una campagna online per incassare risorse. Non è dato sapere quante siano rimaste in piedi o abbiano messo davvero a frutto risultati capaci di ripagare i propri investitori. In secondo luogo, bisogna considerare che la Consob vigila sulle piattaforme in sé e non sulle informazioni pubblicate dalle aziende.
Fonte: Il Sole 24 Ore – Alberto Magnani