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Tutto quello che c’è da sapere sull’assenza di materie prime e sull’aumento dei prezzi

“L’economia mondiale è improvvisamente a corto di tutto”. L’allarme lanciato a maggio 2021 da Bloomberg, una delle riviste più famose al mondo, è stato uno di quelli seri. Il dibattito pubblico e politico di questa estate ha riguardato la campagna vaccinale e l’introduzione del Green Pass. Ora, però, con l’avvicinarsi dell’autunno, la mancanza di materie prime si fa nuovamente sentire. Le ragioni di questa carenza, che rischia di diventare drammatica, stanno già preannunciando ovvie conseguenze sulla vita quotidiana. Ecco perché questa volta sarà necessaria la massima attenzione da parte di tutti. Altrimenti la crisi non farà che peggiorare.

Da dove comincia una crisi economica

I primi segnali in realtà c’erano già nella prima fase della pandemia del 2020. Costretti a stare a casa, le nostre abitudini sono cambiate molto. Certo, il traffico è diminuito, ma allo stesso tempo sono aumentati molto gli acquisti e i servizi online. Più imballaggi e più plastica. Poi l’estate sembrava essersi lasciata alle spalle i blocchi in tutto il mondo. Tuttavia, quando ci siamo trovati nella seconda ondata, è apparso uno strano fenomeno: tutte le attività sono ripartite insieme e l’inventario si è rapidamente esaurito. Allo stesso tempo, con il precedente crollo produttivo, il settore finanziario ha speculato come di consueto: le materie prime, complice anche il dollaro particolarmente debole, sono diventate un investimento molto conveniente. Quindi chi ha scommesso su un successivo recupero l’ha comprata a basso prezzo e ora la rivende a caro prezzo.

Ci sono da considerare anche una successione di eventi sfortunati che sono accaduti negli ultimi mesi. Emblematico l’esempio Ever Given. A marzo, la gigantesca nave portacontainer lunga 400 metri si è arenata sul Canale di Suez, causando il blocco per diversi giorni del canale merci più importante del mondo. Nell’articolo citato all’inizio, Bloomberg stima che questi ritardi di consegna continueranno fino all’autunno. Per questo motivo alcune grandi aziende hanno dovuto trovare velocemente le materie prime in un mercato già compromesso. Inoltre, va aggiunta un’estate particolarmente complicata, con temperature record, incendi devastanti, forti siccità (probabilmente la più diffusa in Brasile), e inaspettate gelate come quella verificatosi negli Stati Uniti a febbraio che ha bloccato la produzione di molti petrolchimici.

Crisi economica, La prima a soffrire? La plastica

“Abbiamo scalato la montagna per combattere il nuovo corona virus e ce l’abbiamo fatta. Ora dobbiamo inginocchiarci davanti alla mancanza di materiali”. La frustrazione espressa dal presidente di Unionplast Luca Iazzolino riflette perfettamente le sensazioni negative generali del settore. Quello della plastica è appunto uno tra i settori più in difficoltà, assieme al metalmeccanico. Anche in questo caso i motivi sono tanti, e alcuni sono stati già citati. In più, proprio sull’assenza dei polimeri che poi costituiscono le plastiche, vanno aggiunti tre ulteriori problemi.

In primo luogo, mentre l’economia si riprende, Cina e India hanno effettutato importanti ordini di materie prime plastiche uno dopo l’altro. La seconda è che con l’aumento dei prezzi aumentano anche i costi logistici: sempre più importatori di plastica affermano che è difficile trovare navi portacontainer disponibili e che, una volta apparse, i loro prezzi sono quattro volte maggiori rispetto a quelli precedenti la comparsa del Covid-19. Infine, il processo di riciclo della plastica coinvolge ancora una quota bassa della produzione complessiva, parliamo di una percentuale di poco superiore al 20%

Il report di Erion

Il tempo per affrontare i problemi, quindi, c’era. E ci sarebbe ancora, se solo si decidesse di studiare. A tal proposito si segnala il contributo di Erion – il più importante consorzio per la gestione dei rifiuti legati ai prodotti elettronici ed elettrici, nonché da EconomiaCircolare.com. A luglio, Erion ha pubblicato un rapporto intitolato “Fornitura strategica di materie prime: una questione di sicurezza nazionale” in cui discutono le cause e gli effetti di questa crisi in corso”.

L’industria italiana è fortemente dipendente dalle importazioni di materie prime ed è quindi indispensabile agire per ridurre i rischi della mancanza di approvvigionamento sicuro e competitivo di materiali strategici. Le aziende manifatturiere riferiscono che nell’ultimo anno sta diventando sempre di più complicato reperire materie prime sul mercato e che i prezzi stanno aumentando notevolmente, mettendo in pericolo la produzione di molte aziende, in particolare le PMI. La fornitura di acciaio, ferro, alluminio, legno, cuoio, plastica, gomma, resine e altri materiali presenta grandi difficoltà. L’aumento dei prezzi delle materie prime, anche del 100%, la difficoltà di reperirle sul mercato ha costretto le aziende dei settori metalmeccanico, automobilistico, chimico, edile, tessile e arredi a ridurre drasticamente la produzione, con ripercussioni sui livelli occupazionali”.

Inoltre, come sappiamo, se la transizione al digitale pone da un lato nuove sfide, dall’altro rischia di rafforzare tendenze già avviate. Come quella dell’accentramento, con la Cina che sempre più potrà decidere dei destini del mondo. “Le dipendenze della filiera di approvvigionamento delle materie prime hanno un impatto particolare sulle nuove tecnologie: batterie Li-ion, celle a combustibile, turbine eoliche, motori elettrici, fotovoltaico, robotica, droni, stampa 3D e semiconduttori”. Quasi tutti i materiali – è sufficiente pensare alle note terre rare – provengono dal gigante orientale.

Crisi Economica A rischio anche il Recovery Plan, il Superbonus e le prossime bollette

Gli effetti di questa crisi in corso, tuttavia, non interessano solo il presente o l’immediato futuro. In un’Europa che intende guidare la transizione ecologica, è minacciato lo strumento principale che il Vecchio Continente ha adottato per riuscirci, ovvero il Piano nazionale di recupero e resilienza. La prima tranche di finanziamento è arrivata a fine luglio; quindi, a breve dovrebbero partire i primi progetti, in particolare trasporti e costruzioni. Settori, questi, che sono tra coloro che più risentono dell’aumento dei prezzi. Basti dire che tra novembre 2020 e luglio il prezzo dei tondini d’acciaio è aumentato del 243%, quello del PVC del 73% e quello del 38%. Il rischio di ritardi e rinvii è molto concreto, come afferma da tempo Confindustria.

Allo stesso modo il rallentamento del Superbonus 110% – la misura messa in campo dal governo Conte II e confermata dal governo Draghi – è ormai evidente. Inoltre molte imprese edili stanno rifiutando i appalti e commesse, proprio perché i costi di approvvigionamento sono saliti alle stelle. Inoltre, nel a breve termine, anche la popolazione sarà costretta ad affrontare questa crisi in corso. Apprendiamo dalla nota mensile Istat di agosto che “la ripresa dell’inflazione è proseguita, trainata dai costi dell’energia”; c’è stato poi “un aumento dei prezzi dei generi alimentari”, mentre “i forti aumenti dei prezzi delle materie prime e la ripresa dell’industria si sono riflessi nell’aumento dei prezzi delle importazioni” e “l’aumento dei prezzi all’importazione si è riflesso anche nei movimenti dei prezzi dei prodotti industriali venduti sul mercato”.

Come invertire il trend?

L’Europa, consapevole dell’eccessiva dipendenza da Cina e USA, hanno deciso di creare l’Alleanza per le materie prime – European Raw Materials Alliance (ERMA).

L’iniziativa in realtà risale a prima della pandemia, ma è chiaro che questo organo dovrà diventare sempre più cruciale. E, soprattutto, dovrà fornire le giuste e necessarie risposte. “Entro il 2030 – si legge sul sito di – le attività di ERMA aumenteranno la produzione di materie prime e avanzate e affronteranno l’economia circolare favorendo il recupero e il riciclo delle materie prime. In particolare, l’Alleanza intende: sostenere la creazione di innovazioni infrastrutturali sostenibili dal punto di vista ambientale e socialmente eque; attuare un’economia circolare di prodotti complessi come veicoli elettrici, tecnologie pulite e idrogeno; sostenere la capacità dell’industria europea delle materie prime di estrarre, progettare, produrre e riciclare materiali; promuovere l’innovazione, gli investimenti strategici e la produzione industriale attraverso specifiche catene del valore”.

Da parte sua, Erion propone di concentrarsi sulla “miniera urbana” che ci circonda. Insomma, ancora una volta, la soluzione è circolare. “Un modo intelligente per ridurre, almeno in parte, la dipendenza dell’Italia dalle complesse dinamiche dei mercati delle materie prime ci sarebbe e questa è la nostra ‘miniera urbana’ di rifiuti tecnologici. La corretta e completa gestione, orientata al riciclaggio come smaltimento, delle apparecchiature elettriche ed elettroniche post-consumo, rappresenterebbe una “miniera ” di materie prime di interesse nella logica della transizione dall’economia all’economia circolare. Oltre agli effetti positivi sull’ambiente, si ottengono risultati in termini occupazionali e strategici per il Paese, grazie alla possibilità di ottenere materie prime e avanzate che altrimenti dovrebbero essere importate.

Concretamente, Erion prevede un piano da 100 milioni di euro, in quattro anni, che potrebbe essere finanziato dal 2 del PNRR, quello specificamente dedicato ai “progetti di economia circolare”. Entro il 2025 potrebbero essere installati nel territorio 1.000 ecopunti RAEE, 100 centri di ricondizionamento per elettrodomestici e impianti idro/biometallurgia per recupero CRM. “Il Piano – conclude il consorzio – mette a disposizione del Paese più di 150mila MPS/anno da sfruttare, di cui il 4% appartiene alle materie prime e avanzate, creando 8mila nuovi posti di lavoro contribuendo ad evitare emissioni di gas serra per circa 1 milione di tonnellate”. Per usare una delle frasi più famose di Draghi, il momento del “whatever it takes” è per l’economia circolare.

 


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